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La trilogia della villeggiatura - 1954-55

autore: Carlo Goldoni
regia: Giorgio Strehler
scene: Mario Chiari
costumi: Maria De Matteis
musiche: Fiorenzo Carpi
    


Appunti di regia La Trilogia della villeggiatura 1954

Note di regia dello spettacolo goldoniano La trilogia della villeggiatura allestito nella stagione 1954-55 apparse sul programma di sala e successivamente sul libro di Giorgio Strehler "Per un teatro umano" del 1974.

Appunti di regia

LA "TRILOGIA DELLA VILLEGGIATURA"

La Trilogia della villeggiatura (il titolo è forse il più onesto ed esatto per dare una forma, anche in parte divulgativa, allo spettacolo che riunisce tre commedie di Goldoni: Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla villeggiatura) vuol essere semplicemente uno spettacolo goldoniano, che ha come caratteristica una lunghezza maggiore delle altre rappresentazioni goldoniane che si sono succedute in questi anni. Non vuole, cioè, assolutamente apparire come una "ardita" o "strana" o "polemica" trovata, come un qualcosa escogitato per creare un certo interesse pubblico intorno alla rappresentazione.

 

 

Semmai le ambizioni dello spettacolo sono assai più alte e di altra natura. Non certo "scandalistica".

 

 

Inutile ricercare il perché si è scelto questo spettacolo a preferenza di altri, ad esempio le Baruffe chiozzotte, La casa nuova, I rusteghi. Motivi di "necessità", motivi di "disposizione" artistica, motivi di "legame", di repertorio ecc., che si collegano insieme. Quest’opera è nel suo complesso poco nota, ma ha la sua alta validità artistica, e in questo può esservi un motivo di particolare interesse.

 

 

Si tratta, non diciamo di una "rivalutazione" ma di una messa a fuoco, il più possibile esemplare, su una parte dell’opera goldoniana poco in luce o non considerata, a nostro avviso, nella sua giusta luce. Quindi non solo diamo un’opera di Goldoni, non solo cerchiamo di darla bene, ma diamo un qualcosa che può essere utile per uno "studio" della drammaturgia goldoniana. Accanto a questo fatto e sopra questo fatto esiste l’importanza estetica della Trilogia goldoniana, che del resto eminenti critici, il Maddalena per primo, Ortolani poi, tra gli altri hanno messo in luce. Il fatto è che si conoscono le Smanie perché la commedia può stare agevolmente a sé, e si ignorano quasi le Avventure e soprattutto il Ritorno perché sono consequenziali e risentono in più punti di una stesura ampliata per ragioni di lunghezza e comunque appaiono come il secondo e il terzo atto di un tutto. Anche da questo punto di vista, quindi, novità sì, ma non tanto poiché nello studio goldoniano le commedie sono note e valutate. Semmai bisognava accorgersene.

 

 

È questo diario, così maturo (è la penultima commedia, prima della partenza per Parigi, quindi di un silenzio), così ricco di umori, così insolito, così pieno di una vita "reale" strappata ad un favoloso giorno del Settecento, che avvince.

 

 

È il suo tono che parte da una comicità motoria, ritmica, tipica del Goldoni comico, e a poco a poco digrada nel patetico, nel dolente. È il suo tema che al tempo stesso diventa reale e simbolico, concreto e trasposto, ed è questo dilatare dell’azione quotidiana nella storia (una villeggiatura, "gente" che vive, soffre, si diverte e ama e nello stesso tempo, dietro, lo schema di una "società" alle soglie della Rivoluzione francese che s’incammina verso la catastrofe storica, con il suo carico di umanità, di errori, di bene, di male, di incomprensioni) che ci meraviglia.

 

 

È la sua raggiunta maturità di annotazione psicologica, di fissare il tratto inconfondibile del carattere e soprattutto dello stato d’animo. Poiché in definitiva la Trilogia risulta una commedia di stati d’animo e, senza voler anticipare troppo, di atmosfere, se un simile vocabolo potesse essere usato agevolmente per Goldoni. Stati d’animo soprattutto amorosi. La Trilogia è una commedia d’amore. E di un amore "sbagliato". I personaggi, qui, sbagliano tutto: a vivere così, ad amare così, sembra dirci Goldoni. Goldoni si era accostato più volte (non molte per verità) alla commedia d’amore, la Pamela nubile insegni e Gli innamorati, né aveva tralasciato situazioni d’amore in altre commedie. Possiamo certo dire che il rapporto amoroso è il fulcro di tutte le commedie goldoniane, c’è sempre un intrigo amoroso. Ma questo non ha nulla a che fare con la commedia d’amore.

 

 

Le annotazioni amorose, poi, hanno sempre un significato particolare in Goldoni e salvo alcuni accenti, qua e là (quella Bettina, La putta onorata, la stessa Moglie saggia, con quella soffusa umanità popolare, quella dolce disperazione, delicatissimo tocco), sono ciniche, diremmo indifferenti, formali. Non c’è palpito vero "dietro".

 

 

Qui no, invece, il dramma è d’amore, in pieno, senza reticenze, c’è abbandono sentimentale, incontro di sentimenti a caldo, e che il tutto si stemperi nella "bontà" goldoniana, nella sua "saggezza" misurata, è altro canto. Tanto più che qui la saggezza e la bontà della risoluzione del nodo drammatico che potrebbe "preludere" alla tragedia (e già nelle Baruffe noi sentiamo aleggiare un tono di tragedia possibile, nelle furie di Titta Name, che mai si blocca ma che dà un sapore così moderno, così intenso all’opera) si stemperano in una profonda malinconia, di qualcosa che muore in silenzio, qualcosa che si rassegna dolcemente, che accetta il male delle cose, della vita (qui in forma di convenienza, reputazione, onore ma anche pietà degli altri, pena di fare del male a chi non ne ha colpa e così via, incapacità di discorrere, di parlarsi, di rompere).

 

 

Se c’è una possibile "tristezza" in Goldoni (e noi l’abbiamo sempre sentita, dovunque, perché la dolcezza ha sempre accanto a sé la malinconia), se c’è qualche ripiegamento malinconico in questo secolo, in definitiva, dolcissimo, pieno di gioia di vivere, di garbo e di misura nella sua più piena e non decadente espressione, qui essa si ritrova catalizzata in piena luce. Non vogliamo naturalmente andare al di là della reale portata di tutto ciò, e intravedere troppo, ma c’è in questo un morire del secolo, un declinare sempre più accentuato.

 

 

È chiaro che proprio per questa la trilogia rivela un insospettato senso di "modernità".

 

 

Ma più che modernità un certo "possibile incontro" con altri mondi più recenti. O meglio, più che incontri, certe analogie. Anche questo ci ha interessato. Comunque, tutto ciò fa parte di un preludio estetico che è meglio lasciare all’opera. Piuttosto era necessario dirlo poiché, trattandosi di una riduzione e ritrovando poi l’accento della commedia di tono assai moderno e inconsueto, viene fatto spontaneo di pensare a un’operazione "chirurgica" assai più accentuata del reale.

 

 

Le tre commedie furono rappresentate in sere successive, a poca distanza l’una dall’altra, nell’autunno del 1761. Le prefazioni, le memorie di Goldoni, la prefazione dell’attrice Bresciani alla prima recita delle Smanie sono esplicite nel senso che le tre commedie formano un tutto unico, recitato a distanza per ragioni diremmo "tecniche". E assolutamente logico e storico e legato alla volontà goldoniana recitarle unite, in un solo spettacolo. Il problema è solo dunque della durata, non della legittimità.

 

 

Ora, la durata di una commedia goldoniana si aggira in media su un’ora e trenta, un’ora e quaranta minuti, senza intervalli e con i cambiamenti di scena di qualche minuto. Nell’Ottocento era comune recitare in una sola serata due commedie di Goldoni. Abbiamo esempi notissimi, manifesti e notizie. Noi stessi, recitando Shakespeare, recitiamo testi di una lunghezza notevole, anche tre ore di spettacolo. E stata nostra cura assicurarci che la Trilogia potesse sopportare la riduzione di circa una commedia su tre. In tal caso sarebbe stato possibile rappresentarle.

 

 

Tale riduzione è avvenuta assai semplicemente su alcune grandi linee.

 

 

Soppressione di qualche scena scadente artisticamente in modo inequivocabile e non fondamentale per la comprensione, per la ritmica goldoniana.

 

Tagli interni, nelle scene, con esclusivo intento drammatico, come se il problema lunghezza non esistesse. Cioè si è tagliato quello che poteva essere tagliato senza toccare la struttura del periodo e delle scene, per necessità di rappresentazione e considerando la fluttuazione della drammaturgia da Goldoni a oggi (quindi, ripetizioni, affermazioni troppo esplicite, monologhi frequenti, a parte). E stata fatta un’operazione che si compie sempre per ovvie ragioni, e non in maggiore misura.

 

Unificazione di qualche luogo in sede di regia, per ragioni di parsimonia tecnica e di unitarietà. E questo è tutto. Qua e là sono stati ritoccati dei vocaboli troppo "arcaici " senza peraltro modificare il lessico goldoniano. Per il resto il testo è rimasto assolutamente immutato. Insistiamo perché non si tratta di un esperimento in corpore vili, né di una bizzarria. Si tratta della rappresentazione delle tre commedie di Goldoni, così come sono, possibilmente nello stile e nel gusto che richiedono, appena ridotte e misurate, per poter essere rappresentate su un palcoscenico contemporaneo. Niente di più. Ciò che a noi interessa è il risultato di questo spettacolo. È il contatto con il pubblico di quest’opera, ottenuto però con la massima obiettività. Gli scherzi interpretativi con i classici non ci piacciono.

 

Dal Programma di sala 1954/55

 

 

RAGIONI DELLA TRILOGIA

 

 

La trilogia della villeggiatura che sotto un unico titolo riunisce tre commedie di Carlo Goldoni: Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla villeggiatura, vuol essere uno spettacolo la cui particolare caratteristica, oltre ogni suo modulo interpretativo, è semplicemente quella di avere una durata maggiore di altre più o meno fortunate rappresentazioni goldoniane che si sono succedute in questi anni sui nostri palcoscenici. Non vuole cioè assolutamente apparire come fatto straordinario o tanto peggio arbitrario nella sua sostanza. Semmai le sue ambizioni sono assai più alte e di altra natura. Non certo "scandalistica", ma critica ed estetica.

 

 

Si tratta infatti di uno studio compiuto su una parte trascurata dell’opera di Goldoni che ci appare di estrema importanza ai fini della reale conoscenza della drammaturgia goldoniana. Infatti se Le smanie per la villeggiatura hanno avuto in questo secolo una certa vita sui nostri palcoscenici, altrettanto non si può dire delle due commedie che la seguono, sebbene tutte le tre commedie siano rigidamente conseguenziali, compongano un tutto organico e gran parte dei più eminenti critici goldoniani, dall’Ortolani al Maddalena, siano concordi nel riconoscere altissimo valore al Ritorno dalla villeggiatura ed un più che notevole interesse di costume alle Avventure della villeggiatura. Ma è questo un destino comune a tante opere drammatiche che il tempo dimentica con una certa ingiustizia o con troppa severità, almeno.

 

 

Per conto nostro vorremmo soltanto che il pubblico riscoprisse queste commedie di Goldoni con l’amorevole, affettuosa sorpresa che ci colse quando le rileggemmo e pensammo alla possibilità di rappresentarle, tutte e tre assieme, per la prima volta. Quello che ci colpì allora e che ancora oggi, dopo lunghe giornate di prove, ci colpisce, è la straordinaria ricchezza e maturità di questo diario in tre giornate, strappate ad un secolo dolcemente in declino. Il suo tono così apparentemente insolito che, partendo da una comicità ancora motoria, ritmica, tipica del Goldoni del primo e secondo periodo, digrada nel dolente, nel patetico con una discrezione ed una contenutezza, direi un "pudore", esemplare.

 

 

È il suo stesso tema così lineare, così privo di "azione" esterna ma così complesso e così pieno di un movimento interiore. È la sua capacità – grande avvenimento che è solo della poesia – di dilatare l’avventura quotidiana nella storia, di diventare al tempo stesso fatto reale e simbolico, costume di un momento e vita di sempre.

 

 

È la raggiunta perfezione dell’annotazione psicologica, il preciso tratto del fissare il carattere nel tipico, dell’immettere un carattere tipico in un’azione tipica, del concretare in immagine e avvenimento l’impalpabile materia dello stato d’animo. Poiché in definitiva, oltre la sua dilatazione storica ed universale, la Trilogia risulta una commedia di stati d’animo e, se un tale vocabolo potesse essere agevolmente usato per Goldoni, di atmosfere. Parte, appunto, dello stato d’animo si allarga nell’immagine di tutto un mondo che si incammina con il suo carico di imanità, verso il suo destino storico, e più in là ancora, ci avvicina insensibilmente ad una eterna avventura, l’eterna avventura delle "villeggiature" umane, delle partenze e dei ritorni, delle illusioni e delle disillusioni, delle stagioni, delle età che non tornano dal viaggio nel tempo.

 

 

Certo, tutto ciò avviene qui, insensibilmente, e discretamente come discreta e profonda ci è sempre apparsa l’umanità di Goldoni che tocca appena le cose troppo gravi da dire, che sfiora talvolta la tragedia (proprio nelle Baruffe chiozzotte quanto poco basterebbe perché il coltello di Tita Nane oltrepassasse il suo limite di gioco innocente!); che si stempera poi in una saggezza ed in "bontà". Una bontà che ha il sapore assai spesso di una sorridente pietà per l’uomo.

 

 

Non si vada certo al di là della reale portata dell’altitudine di Goldoni verso le cose, ma la Trilogia, con questa sua davvero toccante storia di amori sbagliati – (e forse non solo di amori) – riassunti nell’incapacità di risolvere i problemi di un’esistenza al di fuori, da una parte, degli schemi dei doveri d’onore e delle "riputazioni", ma anche dall’altro, così attenti a non mancare a se stessi, a non fare del male agli altri, soprattutto a chi non ha colpa, ci porta, assai più che con la Pamela, davvero alle soglie di un secolo nuovo.

 

 

E attraverso la chiarezza di un discorso "reale" che non si attarda più al gioco formale, lascia irrompere, tra le secolari polveri del palcoscenico settecentesco, un soffio romantico, a sconvolgerne per sempre i disegni.

 

 

Giorgio Strehler

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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